Il Raja Yoga comportamentale

Raja Yoga non è solo pratica ed esperienza. Voi praticate yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana e sperate di sperimentare dhyana e samadhi. Ma quale è lo scopo di queste pratiche? Entrare nello stato di meditazione o in samadhi oppure il progresso della mente? Meditazione e samadhi non costituiscono il risultato delle pratiche come la gente pensa. Anzi, bisognerebbe rimuovere la parola “meditazione” dal vostro vocabolario dato che induce ad una errata comprensione.

Quando guardate il sistema del Raja Yoga, venite a conoscenza di tecniche e di potenziali esperienze, e il risultato di queste tecniche ed esperienze è l’equilibrio della mente.

Questo è lo scopo del Raja Yoga. Pertanto, cerchiamo di aspirare a questo obiettivo. Se possiamo farlo, allora diventeremo degli Yogi.

Chitta vritti nirodhah è l’obiettivo, e gli strumenti sono i sei angas: yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara e dharana che conducono agli ultimi due angas, dhyana e samadhi, che sono esperienze. L’approfondimento di queste esperienze comporta una modifica del proprio comportamento: quando ci si connette con l’armonia e la gioia tutto cambia sia nelle interazioni sia nei rapporti. Questo è l’esito comportamentale del Raja Yoga come attestano gli Yoga Sutra (1:33):

Maitreekarunaamuditopekshaanaam sukhaduhkhapunyaapunyavishayaanaam Bhaavanaatashchittaprasaadanam.

“se coltiviamo l’attitudine alla benevolenza, alla compassione, all’appagamento e all’equanimità, quando ci si relaziona con la gioia e col dolore, con le cose buone e con quelle cattive, la mente è in pace”.

4 concetti sono affermati in questo sutra.

Il primo è provare gioia nei confronti di coloro che sono felici. Quando incontrate o vedete qualcuno che è felice ne siete automaticamente attratti: “Oh, quella persona è veramente felice, mi piace!”. Anche se non le avete mai parlato, la sua felicità vi ha motivato a dire cose belle su di lei. Se quella persona avesse avuto invece il viso accigliato, avreste pensato: “Quella persona è tesa. Non credo di aver voglia di parlarci. “C’è una tendenza naturale ad essere attratti dalla felicità e a volerla condividere. E’ questo ciò che asserisce questo sutra: sukha e maitri, gioia e benevolenza, vanno insieme.

Il secondo è riconoscere la sofferenza, dukha, e sviluppare l’attitudine della mente verso la sofferenza che è la compassione. Questa attitudine vi motiverà ad agire in un modo che sarà di reale aiuto e supporto per gli altri. Non si tratta né di simpatia nel senso di patire insieme o condividere la stessa situazione emotiva, né di empatia ovvero immedesimazione e identificazione con la realtà dell’altro. E’ compassione, e la compassione è cosa diversa: significa che siete impegnati ad aiutare gli altri a superare le loro difficoltà. Non fate un “servizio di ascolto” dicendo “povero, mi dispiace!”, perché questo è simpatia. Se poi sentite la sofferenza altrui, come se fosse trasferita in voi, si parla di empatia: voi provate esattamente la condizione dell’altro. Ma poi come farete ad eliminare quelle impressioni di sofferenza? Sarà molto difficile. Per questo motivo, lo yoga non utilizza alcuna parola che indichino simpatia ed empatia. La parola utilizzata è karuna, e il karuna, nel suo significato più ampio, è fare, operare saggiamente per aiutare a contenere, alleviare la sofferenza altrui. La qualità da coltivare è, dunque, la compassione.

Il terzo concetto è essere felici di incontrare e conoscere chi è onesto, retto perché significa che la vostra natura è positiva. C’è un’energia magnetica intorno a tali persone. E’ la stessa energia che si percepiva nell’ashram di Swami Sivananda e che influenzava chiunque ancor prima che entrasse. La gente, infatti, iniziava a sentire un cambiamento nel proprio stato mentale ed emotivo, sentendosi come sollevata. Coloro che andavano ad ascoltare i darshan di Sri Swamiji, sentivano il loro cuore battere velocemente: il boom, il boom, il boom, il boom, il boom. Questa sensazione è la combinazione di punya e mudita, bontà e gioia; dalla bontà emerge gioia interiore.

Il quarto è ignorare le cattive persone. C’è chi ha una sorta conflitto etico con questa affermazione: “come possiamo ignorarle? dovremmo cercare di aiutarle, di migliorarle”.

Lo Yoga non crede nel riabilitare il mondo esterno; lo yoga crede nella gestione del mondo interiore. Se volete riabilitare qualcuno, questa è una vostra inclinazione, non dello yoga.

L’attitudine di un cane che ringhia è di appunto ringhiare. Il postino va a consegnare lettere mentre il cane continua a ringhiare, così prende precauzioni: ignora il cane. Questo è ciò che si intende qui: ignorate. Tutti i Maestri hanno ignorato coloro che gli “abbaiavano” dietro. C’è un detto in hindi in tal senso: Hathi chale bajaar, kutta bhounke hajaar: “un elefante cammina verso il mercato e centinaia di cani gli abbaiano intorno, l’elefante non se ne preoccupa”. L’elefante li ignorerà. Un altro cane può, infatti, capire cosa si stanno dicendo gli altri cani poiché comunica con il loro stesso linguaggio. Khag jaane khag ki bhasha: “Solo gli uccelli conoscono la lingua degli uccelli. Solo i cani conoscono la lingua dei cani”. Se un cane ringhia e voi reagite significa che voi stessi siete un cane perché comprendete il suo linguaggio.

Se reagite a coloro che sono inclini al male, sarete voi ad esserne alterati. L’intenzione può essere buona, ma l’attitudine di chi vi è di fronte non lo è. La vostra bontà non è nulla rispetto alla cattiveria dell’altra persona. La vostra dolcezza non è abbastanza forte per affrontare la durezza dei malvagi.

Se volete controllare un elefante dovrete applicare una forza ben maggiore di quella dell’elefante. Pertanto, se volete cambiare queste persone, dovrete essere dieci volte più forti per influenzarli in modo positivo. Se siete al loro stesso livello, non ne avrete la possibilità. Loro hanno la spada e voi un fiore. Chi vincerà? La spada vincerà, a meno che voi non siate dieci volte più forti.

Il senso è che per contrastare qualcosa, è necessario essere più forti di quel qualcosa. Questa forza può essere coltivata con input positivi. Il sutra è indicativo. Se riuscite a coltivare e a rafforzare uno stato mentale positivo, un atteggiamento positivo, i comportamenti esterni non dovranno preoccuparvi; la risposta appropriata emergerà naturalmente. Così, se incrocerete un serpente, lo eviterete. Ugualmente eviterete un delinquente. In qualsiasi tipo di situazione difficile, dannosa o rischiosa, la risposta appropriata e naturale sarà evitare il pericolo ed essere salvi.

Molti pensano che, per essere spirituali, occorre aiutare tutti, ma si rischia di buttare al vento il buon senso! I malvagi sono pericolosi come il serpente nell’erba e non avete la forza per contrastarli: perciò, evitateli.

Ecco, la malvagità rappresenta la durezza della vita. È come la patata cruda, non si può mangiare. Bisogna prima bollirla e renderla morbida, e poi la si potrà mangiare. Allo stesso modo, non c’è alcun modo per stemperare e ammorbidire la durezza mentale, perché non siete abbastanza forti per affrontare gli aspetti perversi della mente. Non riuscite nemmeno ad affrontare la durezza e gli stati negativi della vostra mente, figuratevi quelli di un’altra persona!

Pertanto, concentratevi unicamente sul coltivare il positivo dentro di voi; mantenete il vostro equilibrio, siate osservatori e tenete sotto controllo la mente. Questo è Raja Yoga.

Swami Niranjanananda Saraswati, 26 Ottobre 2016, Ganga Darshan, Munger

Raja Yoga Training – Modulo 1 (Estratto),tratto da Yoga Magazine, febbraio 2017