Karma nella Bhagavad Gita

Conversazione sulla scienza dello Yoga – Karma Yoga book 1: Karma. Yoga Magazine, Maggio 2017

E’possibile rinunciare ad agire così da eliminare il karma ed evitarne gli effetti?

Swami Satyananda: Le persone possono pensare di eliminare i loro karma, credendo che lo stress, la tensione e il dolore scaturiscano da essi, ma non è possibile farlo.

I karma sono imposti a tutti da certe leggi della natura. Si dice nella Bhagavad Gita (3:27):

Prakriteh kriyamaanaani gunaih karmaani sarvashah.

Tutte le azioni sono foggiate in tutti i casi solo dalle qualità o guna della natura. Prakriti obbliga ad agire attraverso l’interazione o l’intermediazione dei tre guna: sattwa, rajas e tamas. Pertanto, non si può abdicare dalla legge del karma ed è inutile provarci. La Gita (18:60) da chiare istruzioni in tal senso:

Svabhaavajena kaunteya nibaddhah svena karmanaa;

Kartum nechchhasi yanmohaatkarishyasyavasho’pi tat.

O Arjuna, legato dal tuo stesso karma, ciò che non desideri fare a causa di un tuo sconforto, lo farai comunque anche contro la tua volontà poiché costretto dalla energia costrittiva della tua natura! Anche se si rinunciasse ai karma esterni, come camminare, scrivere, andare al negozio e lavorare in cucina, i karma mentali continuerebbero. I karma non appartengono solo al corpo; appartengono al regno della mente e dei desideri. Anche se ci si dovesse astenere completamente dall’azione, non si può smettere di pensare. Anche il monaco che vive in un monastero senza famiglia fa karma. Persino una persona con tanti soldi e che non ha bisogno di lavorare fa karma. Le azioni esterne che si compiono nella vita di tutti i giorni non rappresentano il senso del karma. I desideri presenti nella mente sono il vero karma. Quando una persona desidera, è karma. Il karma è un moto che si svolge all’interno del corpo, della mente o delle emozioni. Nessuno può rimanere per un solo momento senza agire, sia a livello fisico, mentale, emotivo o ad altri livelli. Secondo la Gita (3:6), non c’è neanche un momento nella vita in cui l’individuo non compia azioni:

Karmendriyaani samyamya ya aaste manasaa smaran;

Indriyaarthaanvimoodhaatmaa mithyaachaarah sa uchyate.

Colui che, controllando gli organi dell’agire, si siede ponendo gli oggetti dei sensi nella sua mente (pensandoli e desiderandoli), costui dall’animo ambiguo è chiamato un ipocrita.

Un individuo deve agire finché rimane in vita. La natura della sua mente e i suoi desideri lo spingeranno ad agire. Se i suoi desideri, passioni e ambizioni non lo costringono ad agire, diventerà letargico e indolente. Il desiderio, la passione e l’ambizione stimolano il karma, sono i combustibili per il karma. Non si dovrebbe fraintendere la filosofia del karma. Anche se ci si siede per tutto il giorno senza muoversi, si crea karma; anche senza muovere il corpo o coinvolgere i sensi, il karma viene costantemente creato nel regno della psiche, nei meandri delle dimensioni più profonde della mente, ma quelle dimensioni sono così misteriose che non sono comprese. Non c’è un momento nella vita in cui si possa essere inattivi. In aggiunta, ci sono azioni involontarie, come digerire, assimilare e così via. Nessuno può rinunciare all’azione.

A quale tipo di azione, fisica o mentale, è possibile rinunciare?

Starnutire, dormire, scrivere, parlare e sedersi sono tutte azioni o karma. Anche la rinuncia è azione, perché l’abbandono dell’azione è anch’essa un’azione. Cosa intendono coloro che vanno affermando di aver rinunciato al mondo? Qualcuno è stato in grado di astenersi dall’azione fino ad ora? Nessuno può farlo, anche se lo si desidera. Anzi, i desideri inducono ad agire. Fino a quando si hanno ambizioni e desideri, ci sarà azione. Un facchino, un sadhu, un leader, un capofamiglia, ognuno deve compiere il karma e agire. Non esiste una rinuncia al karma, nessuna filosofia lo menziona. La Bhagavad Gita insegna che nessuno può sfuggire al karma, né che il karma possa essere eliminato rinunciando all’azione o anche rinunciando alle proprie intenzioni. Sri Krishna dice (3:4):

Na karmanaamanaarambhaannaishkarmyam purusho’shnute;

Na cha sannyasanaadeva siddhim samadhigachchhati.

Non col tenersi lontano dall’operare l’uomo può arrivare a conquistare la libertà dall’agire, né con la rinuncia al mondo può egli raggiungere la perfezione. Il dialogo nella Gita tra Krishna ed Arjuna avviene in un momento particolare. Arjuna sentiva che avrebbe dovuto cercare di fuggire dalla morsa del karma, dal tumulto emotivo dovuto al coinvolgimento nella la vita di tutti i giorni. Pensava che la soluzione più semplice sarebbe stata quella di smettere di fare karma e di essere distaccato da tutto. Con questo in mente, voleva rinunciare ad adempiere al suo karma, ma Krishna non era d’accordo.

Ciò che è importante nella vita è la propria relazione con il karma; l’intera azione dovrebbe essere valutata da questa prospettiva. E lo yoga non ha nulla a che fare con la rinuncia dell’azione perché tratta di trasformare lo scopo e il significato della vita.

Perché l’azione è necessaria nella vita?

Nella Bhagavad Gita, quando Arjuna si rifiuta di compiere il suo dovere e di agire, Krishna gli chiede: “Se non agisci, cosa farai?” e Arjuna risponde: “Me ne andrò, andrò in un monastero e mi asterrò da ogni azione. Il monastero mi nutrirà e leggerò le scritture tutto il giorno. Non dovrò mentire, non dovrò lottare e uccidere, non avrò desiderio o odio per nessuno, non mi preoccuperò di nulla. Avrò solo bisogno di un po’ di cibo, e tutto il giorno sarò in meditazione”. Ma Krishna interviene: “No, non è questa la tua strada”. Infatti, solo pochissime persone sono in grado di vivere questo tipo vita, mentre la maggioranza no, perché la mente di tutti è sotto l’influenza dei tre guna: sattwa, rajas e tamas. Le persone sattviche per loro natura hanno esaurito i loro karma e hanno realizzato lo scopo della natura, quindi non hanno desideri. Rimangono gli stessi dinnanzi a ricchezza, bellissimi uomini o donne, e tutti i lussi della vita. Stanno bene se hanno tutto, e se hanno niente. Si dice nella Gita (18:26):

Muktasango’nahamvaadee dhrityutsaahasamanvitah;

Siddhyasiddhyornirvikaarah kartaa saattvika uchyate.

È chiamato sattvico colui che è libero dall’attaccamento, non egoista, dotato di entusiasmo, e non è scosso dal successo o dal fallimento, equanime. Pertanto, il sattvico dovrebbe essere da esempio alla gente comune compiendo karma poiché, se non lo facesse, l’equilibrio della natura ne sarebbe alterato visto che la natura ha creato il desiderio e l’azione e, in loro assenza, gli individui non si evolverebbero. Nella Gita è detto che (3:26):

Na buddhibhedam janayedajnaanaam karmasanginaam;

Joshayetsarvakarmaani vidvaanyuktah samaacharan.

Che nessuna persona saggia destabilizzi la mente delle persone ignoranti che sono attaccate all’azione. Colui che sa dovrebbe coinvolgerli in tutte le opere, compiendo egli stesso le opere con devozione ed equilibrio. Molti sono sotto l’influenza del rajas guna, sono dinamici, impetuosi, vogliono questo, quello, ogni cosa. Il rajasico, che è attivo per sua natura, potrebbe impazzire se rinunciasse al karma! Poi c’è il tamasico, che è pigro, apatico, indolente e sciatto. Questa persona non si evolverà a meno che non si metta in gioco e si dia da fare. Krishna dice ad Arjuna che è meglio per tutti compiere il karma, sia che si operi attraverso il corpo, sia con la mente, e sia con l’intelletto. Ha trasmesso questo insegnamento in tutti i diciotto capitoli della Bhagavad Gita. Il suo ricorrente consiglio ad Arjuna è di agire in modo deciso (3:8):

Niyatam kuru karma tvam karma jyaayo hyakarmanah;

Shareerayaatraapi cha te na prasiddhyedakarmanah.

Tu compi l’opera che ti è stata affidata perché davvero l’agire è meglio del non agire. Perfino il mantenimento del tuo corpo non sarebbe possibile senza l’agire. Fin quando si vive in questo mondo si dovrà continuamente compiere il karma. Krishna ha spiegato ad Arjuna il suo swadharma, i doveri e le norme a lui più consone e adeguate, e lo ha reso consapevole di ciò che avrebbe dovuto fare. Allo stesso modo, ognuno di noi è tenuto a svolgere certi doveri da cui non potrà sottrarsi. La natura obbliga tutti a compiere il karma. Anche quelli che rinunciano al mondo non possono evitare questo vincolo di natura. E’ detto nella Gita (3:33):

Sadrisham cheshtate svasyaah prakriterjnaanavaanapi.

Prakritim yaanti bhootaani nigrahah kim karishyati.

Anche un uomo che ha conoscenza agisce in modo conforme alla sua natura; tutti gli esseri seguono la propria natura; che cosa può fare evitare le azioni? Tutte le creature di questo mondo hanno alcuni doveri da eseguire. Hanno il proprio swadharma ed eseguire lo swadharma è rispettare il volere divino. Proprio come la natura del vento è quella di soffiare, dell’acqua di fluire e del fuoco di bruciare, allo stesso modo ogni persona ha determinati doveri da compiere. La natura ha assegnato compiti specifici a tutti. Krishna dice ad Arjuna che la rinuncia all’azione non è in alcun modo appropriata. Perfino i saggi, i mahatma, i sadhu e i sannyasin non possono rinunciare all’azione. Secondo la Bhagavad Gita (18:7) chiunque rinunci all’azione è un peccatore:

Niyatasya tu sannyaasah karmano nopapadyate;

Mohaattasya parityaagastaamasah parikeertitah.

In verità, rifuggire dall’azione prescritta non è cosa che si possa approvare. Astenersi dalla stessa, a causa dell’illusione, si dice essere di natura tamasica. Dio stesso nasce per compiere un’azione: Rama, Buddha, Cristo e Krishna hanno eseguito il karma. Il Signore Krishna si è incarnato per uccidere Kamsa e Rama è nato per uccidere Ravana. Le incarnazioni di Dio sono avvenute con l’unico obiettivo di eseguire un determinato karma.