Cosa fare adesso?

Quando raggiungiamo il culmine del successo materiale, spesso ci poniamo la domanda: “E adesso? cosa farò?” Anch’io mi sono fatto questa domanda. Sono altresì il presidente di una “multinazionale” e, ai tempi, anche io sono stato un giovane presidente, avendo assunto la direzione della Bihar School of Yoga all’età di 23 anni . Tuttavia, il mio ruolo di sannyasin è diverso da quello di presidente di un’organizzazione. C’è stato un momento nella mia vita in cui mi sono chiesto “ed ora, cosa farò?” e cioè quando sono giunto ad un determinato livello di realizzazione esteriore ovvero essere il capo di un movimento yogico globale, gestire diversi centri e persone, cercare di soddisfare le loro aspettative e creare nuovi e migliori programmi per aiutare gli altri.

Nel corso del tempo, più pensieri sono affiorati alla mente: “è questo ciò che ho immaginato fare per tutta la vita? In quanto sannyasin, è questa la vita che devo condurre? Ho lasciato una famiglia di quattro persone con l’idea di rinuncia, e qui mi ritrovo con una famiglia di 400.000 persone. Ho lasciato a casa l’idea di dover compilare moduli fiscali sul reddito ma qui sto compilando moduli fiscali per più e diverse organizzazioni. A cosa ho rinunciato? A niente! Anzi, ho più responsabilità sulle mie spalle. La gente ha riposto fiducia in me e non posso ignorarlo. È così che vivrò e probabilmente morirò?” Ecco, questi pensieri mi passarono per la testa per molti anni. Stavo cercando di trovare un equilibrio tra la mia aspirazione, che era quella di un sannyasin, ed i miei obblighi ed impegni nei confronti dell’organizzazione che stavo dirigendo.

Poi un giorno ho rivolto l’attenzione su qualcosa che era da sempre lì davanti ai miei occhi, ma che avevo ignorato. La vita del mio maestro, il mio Guru, Swami Satyananda. Ci fu un momento nella sua vita in cui disse: “basta con la direzione di un’istituzione. Non sto percorrendo la via del sannyasa per diventare un guru, un leader di un movimento o un capo di un’organizzazione. Il mio scopo è stato raggiungere la purezza interiore e scoprire il potenziale insito in ogni individuo. Ho fatto tutto questo per esaurire le mie ambizioni, desideri, karma e samskara e, ora, senza più ambizioni e avendo raggiunto tutto ciò che volevo ottenere, posso rendere me stesso libero.”

Rinunciò a tutto. Rinunciò alla struttura che aveva creato e se ne andò per condurre una vita isolata. Tuttavia, in quel ritiro successe qualcosa. Ebbe una visione o un’ispirazione e ricevette un mandato che egli attribuì a Dio, e il messaggio che ricevette in quella visione fu: “dona al prossimo gli stessi strumenti che io ho dato a te”. Quindi, iniziò a pensare: “che cosa mi ha donato Dio? Dio si è sempre assicurato che io avessi cibo da mangiare, vestiti da indossare, un rifugio in cui vivere. Questo è ciò che devo fare per gli altri.” Così ci disse: “Questo è il mandato che ho ricevuto. Non ho niente e ho rinunciato a tutto, quindi vi sto passando il testimone. Realizzate questo mandato.”

Così cominciammo ad aiutare le persone svantaggiate e povere della società. Con questo servizio ho compreso molte cose utili circa il nostro attuale stile di vita e sull’ambiente.

Quando ci chiediamo qual è lo scopo della nostra vita, alla fine, tre cose sono rilevanti. La prima è sanyam, disciplina o autocontrollo. In assenza di autocontrollo, non c’è fine alle ambizioni. Ma queste, alla fine, portano fuori strada e alterano la pace della mente e il senso di appagamento.

La seconda è lo sviluppo delle qualità del cuore. Un essere umano è una combinazione delle facoltà della testa, del cuore e delle mani: intelletto, sentimenti e azione. Molto spesso, diamo priorità all’uso e alle facoltà dell’intelletto e releghiamo le facoltà del cuore, cioè i sentimenti e le emozioni, in un angolo remoto pensando che, se le esprimiamo, saremo considerati deboli e facilmente manipolabili.

La terza cosa è aiutare gli altri e quindi guardare oltre le azioni egoiste che mirano solo a soddisfare i nostri bisogni.

Quindi queste sono le tre componenti che devono essere coltivate: l’autocontrollo, la benevolenza e imparare a dare una mano agli altri. Se ne adotterete una qualsiasi come vostro obiettivo di vita, se coltiverete una certa attitudine e mentalità, allora scoprirete che quel vuoto che sentite dopo aver raggiunto l’apice del successo materiale è invece pieno. Questo è anche il messaggio dato nelle Upanishad.

Praticare l’autocontrollo

Ora analizziamo il primo componente, l’autocontrollo o moderazione. Ci sono troppe distrazioni nello stile di vita moderno. Vogliamo avere ed usare ogni cosa nuova che arriva sul mercato perché ci aiuta a migliorare la nostra immagine di noi stessi, il nostro ego. Ma il denaro porta con sé malcostume poiché si rischia di riporre più fiducia nei “verdoni” che nelle proprie capacità. E, quando manca la fiducia in sé stessi, la mente, il corpo e il tessuto familiare diventano deboli, e confusione, stress e ansia diventano l’ordine del giorno. Questo è ciò che sta succedendo! Si arriva a non essere più in grado di gestire pressioni, stress, né le nostre insoddisfazioni poiché aleggia sempre la brama di trovare ancora di più o dell’altro che ci renda più soddisfatti e compiaciuti.

Come si può acquisire dunque l’autocontrollo? Esiste un metodo pratico che io chiamo la teoria degli SWAN. SWAN è l’acronimo di Forza, Debolezza, Ambizione e Necessità. Per metterlo in pratica, prendete un foglio di carta e in una colonna scrivete un elenco di tutti i vostri punti di forza o le vostre qualità positive, in un’altra colonna fate un altro elenco di tutte le vostre debolezze e limiti che ritenete possano condizionare la vostra crescita e la chiarezza mentale, poi un terzo elenco riguardante le vostre ambizioni, e anche se si tratta di acquistare la luna, annotatela. Fate infine un quarto elenco coi vostri bisogni immediati e a lungo termine, il minimo indispensabile di cui avete bisogno per condurre una vita soddisfacente e in cui vi sentiate realizzati. Mantenete queste quattro liste, guardatele di tanto in tanto, cancellate e aggiungete, fino a quando non realizzerete che esse riflettono un quadro reale della vostra personalità, di voi stessi.

Ora, scegliete un punto di forza e coltivatelo con convinzione, e poi un punto di debolezza e cercate di superarlo in un mese. Di seguito provate ad analizzare una ambizione e chiedetevi se davvero rifletta un vostro desiderio oppure no. Poi tocca ai vostri bisogni, esaminateli e cercate di trovare un equilibrio tra questi e le vostre ambizioni. Dedicateci cinque minuti ogni giorno in relazione alla vostra giornata, a come è andata, e sarete in grado di muovervi al meglio, utilizzando i vostri punti di forza, trascendendo le vostre debolezze e i limiti, e comprendendo al meglio la reale differenza tra necessità e ambizioni.

Sviluppate le qualità del cuore

Il secondo punto è lo sviluppo degli aspetti amorevoli nella vita quotidiana. La gente ha sempre creduto che la brillantezza o il genio siano determinati da un più alto QI, il quoziente intellettivo. Tuttavia, in questo secolo, si pensa sempre meno al QI e più al QE, il quoziente emotivo. Potete senza dubbio aumentare il vostro livello di intelligenza ma, questo sviluppo, servirà alla comprensione del materiale e non a comprendere la persona in quanto essere umano. Un difetto fondamentale nella nostra vita è che non siamo educati, e non mi riferisco a laurea e diplomi, università, college, dove ci insegnano a nutrire e sviluppare l’intelletto senza però fare esperienza di vita! Nessuno ci ha insegnato come affrontare problemi e stress; nessuno ci ha detto “ogni volta che sei sotto stress, sdraiati e conta il respiro indietro da 30 a 1”. Non sappiamo neanche una cosa semplice come questa! Studiamo medicina, legge, scienza, per un MBA, ma non studiamo il comportamento umano, né come modificarlo.

Sviluppare il QE, il quoziente emotivo, o rendere i nostri sentimenti più espansivi e gentili, è l’altra direzione verso cui indirizzarsi, specialmente nel caso degli uomini d’affari. È necessario avere una filosofia di vita, che non deve necessariamente essere una credenza religiosa. È irrilevante a quale religione apparteniate o se siete un credente o un non credente. Dovete semplicemente avere una filosofia nella vita che guidi le vostre azioni e definisca la vostra aspirazione.

Che tipo di filosofia dovrebbe essere? Dovrebbe essere quello di superare gli aspetti negativi e condizionanti della vita e coltivare gli aspetti benevoli e pacifici. Come? Praticate 10 minuti di meditazione ogni sera prima di andare a dormire. Questo è uno sforzo che dovreste fare per il bene della vostra salute e della vostra pace. Dedicate 23 ore e 50 minuti alla società, alla famiglia, alla professione, al mondo, e 10 minuti per la vostra pace, serenità, tranquillità e benessere. In questi 10 minuti, sedetevi tranquillamente e sviluppate il pensiero: “per questi 10 minuti io non sarò questo corpo, né la sensazione di disagio o di comodità associati al corpo; non sarò la mente, né l’esperienza del piacere o dello stress che sorgono nella mente.” Cercate di creare una totale disidentificazione, totale disconnessione dalle esperienze fisiche e mentali. Non siete il corpo né la mente, siete solo voi stessi, niente di più, e in quest’esperienza di voi, sperimentate la stabilità e il silenzio interiore.

Successivamente, rivedete rapidamente le attività del giorno: “mi sono svegliato a quell’ora, ho preso questo per colazione, ho indossato quello, ho letto questo, ho visto quello, ho parlato di questo, etc.”. Se trovate una situazione difficile in cui avete reagito in un modo particolare tenete la bobina lì per pochi istanti, come a congelare la registrazione, osservatela e pensate a come reagireste dinnanzi ad una stessa situazione, se in un modo migliore o peggiore?

Continuate ogni giorno per un mese, e scoprirete che le vostre risposte sono cambiate. Invece di muovervi con la foga di un toro scatenato, sarete più attenti, più presenti e consapevoli di ciò che state facendo e di come state rispondendo, e sarete più in grado di gestire i livelli di stress perché li riconoscerete e li controllerete dicendo a voi stessi: “domani troverò un modo migliore per affrontare questa situazione, e non vivrò più la stessa ansia che ho vissuto oggi”. Dopo aver esaminato le attività del giorno, osserva il flusso del respiro naturale per 5 minuti e prova a fare respiri lunghi, profondi e lenti; questo completerà la vostra pratica di meditazione di 10 minuti. La consapevolezza trarrà alimento da questa meditazione.

Quindi, la pratica è molto semplice: sedetevi, restate fermi, disidentificatevi dal corpo e dalla mente, praticate swadhyaya e rivedete le attività del giorno, analizzatele, e dite a voi stessi: “Domani mi occuperò di questa situazione in un modo migliore”, infine osservate il respiro, rilassatevi e fermatevi. Questa è la meditazione.

Man mano che diventate più consapevoli delle vostre risposte e reazioni inconsce grazie a questa tecnica, scoprirete che state iniziando a fare esperienza delle qualità più benevole. Queste qualità arrivano con la comprensione, mettendosi nei panni degli altri e comprendendo le difficoltà che gli altri stanno affrontando, e quindi cercando di trovare un equilibrio tra voi e loro.

Dare una mano

Dare una mano è la cosa più importante nella vita perché permette di connettervi con agli altri esseri. L’umanità è un club unico e non esistono né élite né minoranze. I gruppi possono esistere a livello sociale o economico ma in quanto parte dell’esperienza di vita che tutti stiamo vivendo non c’è separazione. Semplicemente, alcune persone hanno avuto l’opportunità di realizzarsi e altre no ma, quando verrà il loro momento, anch’esse brilleranno. Dopotutto, c’è lo stesso cervello, la stessa mente, la stessa forza in ognuno di noi, e il loro uso dipende dalle opportunità che ognuno riesce a cogliere nella vita.

Swami Sivananda era un difensore dell’umanità. Di professione era un medico, ma lasciò la sua pratica lucrosa per diventare un sannyasin, e divenne un sannyasin di altissimo spessore. Swami Sivananda aveva solo un obiettivo in mente: “come posso aiutare un’altra persona ad avere la salute, la pace e un po’ di agio?” e questi sono i pilastri delle istituzioni create nel suo nome, lo Sivananda Math e l’ashram. Ricordate che c’è una abissale differenza tra coloro che prendono il sannyasa perché vogliono impegnarsi ad aiutare gli altri e coloro che vogliono solo fuggire dalla vita.

Paramahamsaji diceva che c’è molta ipocrisia nelle nostre vite. La vita dovrebbe essere innocente, semplice e gioiosa e, invece, mettiamo su maschere diverse a seconda del momento. Anche quando ci guardiamo allo specchio abbiamo le maschere addosso, vogliamo vederci diversamente, non come siamo. E, siamo così abituati a vedere noi stessi in quella maschera che, quando la rimuoviamo, non ci riconosciamo più e ci chiediamo: “sono davvero così?”

L’unico modo in cui possiamo sentirci liberi interiormente è sperimentare l’unità, l’atmabhava, essere in grado di vedere noi stessi negli altri, e questo avviene quando iniziamo a comprendere gli altri e le loro situazioni e, quando possiamo aiutare gli altri a uscire dalla loro miseria.

C’è un famoso detto: “se una persona ha fame, non dargli da mangiare pesce, ma insegnagli a pescare”. Questo è stato il principio di Swami Sivananda. Egli non credeva nella carità; diceva che la carità è la madre della povertà, della dipendenza, della debolezza. Aiutare significa sostenere la capacità altrui di provvedere a sé stessi e ad essere responsabili della propria pace e del proprio benessere. Questo è il vero significato dell’espressione “dare una mano”, questa è l’idea del servizio o Seva, e questo è il valore del Purushartha, l’impegno nel perseguire i propri doveri ed obiettivi che Swami Sivananda ha sempre sottolineato.

Paramahamsaji ci diceva: “se vai al mercato per comprare scarpe o vestiti per i tuoi due figli, invece di comprarne due paia, comprane tre. Due per i tuoi figli e uno per il bambino sconosciuto che hai adottato nella tua mente.” C’è abbastanza gente povera al mondo a cui puoi dare quel paio di scarpe o quell’uniforme che sicuramente adoreranno per il resto delle loro vite. Ricorderanno sempre la gentilezza che gli è stata riservata. Se ogni cittadino benestante si prendesse cura dei bisogni di un cittadino povero in dieci anni non ci sarebbe povertà. Tutto quello che dovete fare è vedere voi stessi in quello stato di povertà. Siamo molto fortunati poiché abbiamo abbastanza da mangiare e anche da sprecare, mentre l’80% della popolazione in questo paese non ha un pasto decente al giorno. Sono proprio loro, i nostri simili, che hanno bisogno di incoraggiamento, che hanno bisogno di sapere che non hanno perso tutte le opportunità nella vita e che qualcuno si sta prendendo cura di loro. Se vi dedicherete anche a questo sarete felici e soddisfatti perché avrete portato sorrisi ad una persona o ad una famiglia.

E adesso?

In questo contesto, lo yoga assume un profondo significato. Lo yoga non è ciò che leggi, senti o vedi nei media. Lo yoga è uno stile di vita, è un atteggiamento della mente, è la coltivazione delle qualità migliori della personalità umana. Lo yoga sviluppa e integra le facoltà della testa, del cuore e delle mani ed è anche uno strumento per far emergere l’eccellenza dal profondo che si rifletterà nel nostro modo di agire e pensare. Quindi preparate il terreno, iniziate coi tre semplici precetti di autocontrollo, sviluppo delle qualità del cuore e aiutare il prossimo, fate la lista dei vostri punti di forza, debolezze, ambizioni e bisogni, con obiettività, e praticate swadhyaya, l’auto-osservazione, perché è seguendo questi principi che sono stato in grado di superare la domanda “e adesso?”, ed anche voi sarete in grado di farlo.

 

Swami Niranjanananda Saraswati, discorso all’Organizzazione dei giovani Presidenti,

Yoga Magazine, Gennaio 2008